Il feudo di Montechiaro, insieme al Castello costruito dai Chiaramonte, apparteneva alla famiglia De Caro, dal cui stemma prese il nome di Palma, nel secolo XV; passò poi per matrimonio ai Tomasi verso la metà del secolo successivo. Il paese fu fondato nel 1637 da Carlo Tomasi e De Caro, e fino al 1812 rimase ai Tomasi di Lampedusa. Nel 1863 al nome Palma fu aggiunto quello di Montechiaro, dal vicino castello chiaramontano. La fondazione della città si inserisce in quel vasto piano di riordino e sviluppo urbanistico e sociale del territorio, meglio conosciuto come Licentia polpulandi, promossa dal Vicerè spagnolo a sostegno dell’espansione e dell’incremento dell’inurbanizzazione delle campagne e sfruttamento del latifondo; opera che si inquadra in quello che fu il lungo feudalesimo siciliano, dopo il triste periodo di abbandono della terra a causa delle frequenti incursioni dei barbareschi e conseguente stato di insicurezza sociale. La storia di Palma di Montechiaro si distingue all’interno delle altre fondazioni feudali del 600per la vicenda mistica dei fondatori.
Palma fu fondata nel 1637 dalla famiglia caro originaria di Licata e precisamente dai gemelli Carlo e Giulio Tomasi e Caro che assunsero il titolo di duchi nello stesso anno. Erano presenti alla fondazione numerosi nobili e l’architetto Antonio De Marco, cronista della memoria del tempo fu il sacerdote Giovan Battista Hodierna, scienziato, astronomo, matematico. La famiglia traeva origine da Mario Tomasi, cavaliere capitano venuto in Sicilia al seguito del viceré Marcantonio Colonna, il quale era riuscito a impalmare nel 1583la nobile ereditiera Francesca Caro, baronessa di Montechiaro e signora dell’isola di Lampedusa. I suoi due nipoti gemelli fondatori di Palma influenzarono e si resero protagonisti della fase più gloriosa della saga familiare. Carlo, rinunziando ai propri diritti prese i voti monastici nell’ordine dei padri teatini e legò la sua esistenza alle opere di bene e alla pratica rigorosa della penitenza spirituale e corporale. Giulio, dopo essere subentrato al fratello nei titoli e nell’amministrazione dei beni e dopo aver anch’egli contratto matrimonio con Rosalia Traina, baronessa di Falconeri, aveva svolto il ruolo di commissario della Santa Inquisizione a Licata, città dalla quale grazie ai lasciti del tristemente esoso Monsignor Traina, vescovo della diocesi nonché zio della sposa, riscuoteva pressoché la totalità dei censi. Stabilita in seguito la residenza definitiva nella terra di Palma si era dedicato all’amministrazione di beni con santità di opere meritandosi il soprannome di “duca santo”.
Lo schema costruttivo ed ideologico della città ha radici antichissime con ripetizioni cicliche delle forme geometriche e simboliche; così come la forma del castrum romano si ritrova negli antichi labirinti mesopotamici o ancora nei mandala indiani o nelle ripartizioni della città dei morti in epoca egizia, ma è proprio nel rinascimento prima e nel barocco poi che vengono riprese le regole per la forma della città dove misticismo religioso e studi matematici trovano il loro comune denominatore nella forma crucis. Tutte le nuove città seguono lo schema rigido dell’ordine a scacchiera secondo i riferimenti della matematica cartesiana, ma caricando di forte simbologia lo schema geometrico che nella riproposizione del cardo e decumano dell’urbanistica romana, ritrovano la forma crucis, orientata simbolicamente dal sorgere al tramonto del sole. Metafora del percorso salvifico e dell’effimera esistenza terrena. Giulio Tomasi, il duca santo, prende il titolo di secondo Duca di Palma, dopo la rinuncia del fratello Carlo.
Egli nella fondazione del paese concepì l’intera struttura come una nuova Gerusalemme, dove poter rivivere personalmente e fare assaporare agli abitanti del nuovo centro i momenti salienti della vita di Cristo e si servirono dell’umanista e primo arciprete della città Giovan Battista Hodierna per delineare un tracciato ideale e penitenziale a un tempo. Il duca fece realizzare su una collinetta la Chiesa della Madonna della Luce, oggi un rudere. Il percorso era suddiviso in 18 stazioni, in ognuna era un dipinto relativo ad ogni mistero. Fu l’Hodierna a descrivere tale percorso per il quale Giulio ottenne l’applicazione di un’indulgenza plenaria in tutto pari a quella che potevano ottenere i pellegrini in Terra Santa, allora difficilmente visitabile. Palma si presentava dunque come Terra Santa ed il cammino verso il Calvario era parafrasi figurata di un più importante cammino spirituale. Quali maestranze abbiano radunato per l’edificazione della città non è dato sapere. Il solo nome noto è quello dell’architetto ragusano Antonio Di Marco, citato nell’atto di fondazione del monastero delle Benedettine (1637).
A tale scopo ad est e ad ovest fece costruire la Chiesa della Natività, la Chiesa della Santa Casa di Loreto e Chiesa della Madonna della Luce. Quest’ultima sul Monte Calvario di cui ancora oggi si ammirano le possenti rovine. Al Calvario si concludeva la Via Crucis che partendo dalla piazza antistante il Monastero si snodava per un lungo itinerario contrassegnato da 18 stazioni, arricchite da scene della via dolorosa si Cristo dipinte su lastroni di gesso. Il Calvario era così parte integrante di un cammino simbolico frutto della religiosità di Giovan Battista Hodierna, ragusano, primo arciprete della nuova fondazione. Il Duca Giulio ottenne dalla Sede Apostolica l’applicazione della stessa indulgenza plenaria che si guadagnava in Terra Santa per quanti avessero percorso l’itinerario ascetico offerto dalla città di Palma. Per assistere i pellegrini che incerti venerdì di quaresima raggiungevano la cifra di 5000, il Duca fondò la Congregazione dei Chierici Minimi del Sacramento. Tutta la famiglia fu coinvolta in quest’aura di misticismo, dalla quale emersero le figure dei figli Giuseppe, il cardinale da pochi anni santificato, e della beata suor Maria Crocefissa. Nella piazza Santa Rosalia prospettano i due edifici più importanti: la Chiesa Madre e il Palazzo Ducale. L’attuale piazza Matteotti fino al 1922 era il vastissimo giardino del monastero.